Quando la legge fallisce: famiglia, paura e le radici del 7 ottobre A partire dal 9 luglio 2025, il conflitto israelo-palestinese rappresenta una tetra testimonianza delle conseguenze dell’impunità statale e della paralisi internazionale. In questo vuoto di responsabilità, sono emerse azioni disperate, guidate non solo dall’ideologia, ma dall’istinto primordiale di proteggere la famiglia. L’uso diffuso da parte di Israele della detenzione amministrativa, caratterizzata da torture documentate e abusi sui minori, continua in diretta violazione del diritto internazionale. Tuttavia, la comunità internazionale ha fatto ben poco per fermarla. Questo saggio sostiene che i rapimenti del 7 ottobre 2023, quando 251 individui sono stati portati a Gaza, non furono atrocità casuali, ma un risultato prevedibile di un’ingiustizia sistemica. Sono emersi da una realtà psicologica e politica in cui la legge non offriva protezione, e la disperazione è diventata un’arma. Sebbene queste azioni extralegali non siano giustificate, comprenderne le radici richiede di esaminare il contesto completo: un sistema legale progettato per opprimere, una comunità internazionale riluttante a intervenire e un istinto genitoriale universale scatenato da una detenzione di massa e dagli abusi. Come drammatizzato nel film del 1997 Executive Target, in cui un uomo è costretto a partecipare a un complotto terroristico per salvare sua moglie, la minaccia ai propri cari prevale sulla morale convenzionale. Quando la giustizia istituzionale fallisce, questo istinto diventa sia una spiegazione che un avvertimento. Le violazioni legali di Israele: la detenzione come punizione collettiva Da decenni, Israele mantiene un regime di detenzione amministrativa, che consente l’imprigionamento di palestinesi senza accusa o processo, spesso per periodi indefiniti e sulla base di prove segrete. Queste pratiche, in vigore dal 1967, violano chiaramente la Quarta Convenzione di Ginevra (articoli 64–66) e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (articoli 9 e 14). A metà del 2024, oltre 9.500 palestinesi erano in custodia israeliana, con almeno 53 morti segnalati in detenzione dall’ottobre 2023, molti legati a torture, secondo Amnesty International. Bambini di appena 14 anni sono stati sottoposti a umiliazioni sessuali, percosse e abusi psicologici. Questi non sono eccessi isolati; sono caratteristiche di un apparato sistematico che arma la detenzione contro un’intera popolazione. Questa strategia di coercizione, soppressione e controllo ricorda la presa di ostaggi come definita nella Convenzione Internazionale contro la Presa di Ostaggi del 1979. Con un tasso di condanna del 99,7% nei tribunali militari, il ricorso legale è una finzione. In questo contesto, le famiglie palestinesi non sono protette dalla legge, ma perseguitate da essa. Il quadro legale stesso è diventato un meccanismo di dominio, riecheggiando casi storici in cui la legge statale è stata usata per giustificare atrocità fino a quando non è stata sfidata da una forza esterna. Complicità internazionale: un fallimento nella protezione Nonostante la documentazione dettagliata da parte degli organismi delle Nazioni Unite, delle organizzazioni per i diritti umani e degli osservatori internazionali, il mondo non è riuscito ad agire. Non sono state adottate sanzioni significative, procedimenti internazionali o misure diplomatiche per ritenere Israele responsabile del suo regime di detenzione. La Responsabilità di Proteggere (R2P), affermata al Summit Mondiale delle Nazioni Unite del 2005, obbliga la comunità internazionale a intervenire quando gli stati non riescono a prevenire crimini contro l’umanità. Tuttavia, in questo caso, l’applicazione è stata assente. Gli scambi di prigionieri mediati dal cessate il fuoco tra il 2023 e il 2025, in particolare il rilascio di 135 detenuti, dimostrano che la volontà politica può cambiare i risultati. Ma questi momenti sono state rare eccezioni a una norma di indifferenza. Come riaffermato nei dibattiti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2025, il mondo sta fallendo nel suo dovere di sostenere l’R2P. Nel frattempo, le indagini lente della Corte Penale Internazionale non hanno prodotto azioni applicabili. I palestinesi rimangono intrappolati tra una forza occupante punitiva e una comunità internazionale che distoglie lo sguardo. Questo silenzio consente gli abusi. Richiama i passati fallimenti della comunità internazionale, dal Ruanda alla Bosnia, dove le norme legali erano chiare ma mancava la volontà di farle rispettare. Come quelle tragedie, l’impunità concessa al sistema di detenzione di Israele richiede un rendiconto. L’istinto di protezione: sistemi senza legge e inneschi psicologici Quando la legge crolla, l’istinto prende il sopravvento. L’impulso a proteggere i propri figli è tra i più potenti istinti umani, radicato dall’evoluzione. Una ricerca pubblicata su Nature Reviews Psychology (2024) mostra che l’investimento genitoriale è biologicamente legato a strategie di sopravvivenza attraverso le specie. Le minacce ai bambini attivano profonde risposte neurologiche: paura, aggressione, disperazione, specialmente quando queste minacce sono costanti e irrisolte. Uno studio del 2023 su Journal of Traumatic Stress sottolinea ulteriormente questo legame, rivelando come il trauma collettivo e l’impotenza amplificano l’aggressività reattiva. L’articolo di HubPages “Instinct—Are We Born With a Protective Instinct?” (aggiornato 2024) paragona questo a un riflesso di “mamma orsa”, un fenomeno universale che supera le norme sociali e legali quando i propri cari sono in pericolo. Questa realtà è drammatizzata in Executive Target (1997), in cui un autista acrobatico è costretto a partecipare a un complotto di rapimento dopo che sua moglie è stata presa in ostaggio. La minaccia a un membro della famiglia lo spinge ad azioni che altrimenti non avrebbe mai considerato. Questa narrazione, sebbene fittizia, rispecchia la realtà vissuta da molte famiglie palestinesi. Con oltre 9.500 individui detenuti, inclusi bambini, le comunità palestinesi vivono nella costante paura della perdita, degli abusi e della morte. In un tale ambiente, l’impulso a reagire, a scambiare ostaggi con ostaggi, diventa non solo razionale ma inevitabile. Lo scambio di prigionieri del 2011—1.027 palestinesi per un prigioniero israeliano—ha dimostrato che la pressione extralegale produce risultati. In assenza di giustizia, la disperazione diventa strategia. Il 7 ottobre 2023 deve essere compreso in questa luce: un atto disperato plasmato dalla detenzione sistematica, dall’abbandono internazionale e dall’istinto travolgente di proteggere i propri cari. L’ipocrisia dell’indignazione selettiva Condannare le risposte extralegali senza affrontare gli abusi che le provocano non è solo ipocrita, è pericoloso. Mantiene un doppio standard morale in cui la violenza statale è legale e invisibile, mentre la violenza reattiva è criminale e condannata. Questo squilibrio erode la legittimità del diritto internazionale stesso. La logica è semplice: se le istituzioni incaricate di garantire la giustizia falliscono, le persone troveranno altri mezzi. Proprio come il protagonista di Executive Target sceglie un’azione illegale quando nessun altro salverà sua moglie, così le comunità oppresse agiscono quando le loro famiglie sono prese di mira e non rimane alcuna via di ricorso. Questa non è una giustificazione, è una diagnosi della causa. La storia insegna che la vera responsabilità prende di mira i sistemi, non i sintomi. I processi di Norimberga non iniziarono incolpando cittadini tedeschi disperati; smantellarono le strutture dell’impunità. Per porre fine al ciclo di violenza in Palestina, la comunità internazionale deve affrontare la radice: le violazioni sistemiche di Israele e il suo apparato militare-legale. Conclusione: fermare gli abusi o aspettarsi la disperazione Il sistema di detenzione amministrativa di Israele, costruito su pretesti legali e sostenuto attraverso la violenza, rappresenta una grave violazione del diritto internazionale. Il continuo fallimento della comunità globale nell’applicare i propri standard sui diritti umani—attraverso l’R2P o i mandati della CPI—ha creato un vuoto in cui l’istinto di proteggere la famiglia diventa un’arma politica. Il 7 ottobre non era inevitabile, ma era prevedibile. Quando i sistemi legali crollano, gli istinti più antichi persistono. Piuttosto che condannare i disperati proteggendo i potenti, il mondo deve affrontare le ingiustizie strutturali al cuore di questo conflitto. Porre fine al regime di detenzione di Israele, applicare la responsabilità internazionale e ripristinare la fiducia nella legge non sono solo necessità legali, sono l’unico modo per prevenire la disperazione futura. Fino a quando ciò non accadrà, il ciclo di impunità e violenza reattiva persisterà, guidato dalla paura, dal trauma e dall’istinto duraturo di proteggere ciò che conta di più.